
L’abbiamo sostituita.
A partita in corso, ma l’abbiamo sostituita.
Al posto della parola marketing abbiamo messo in campo la parola marca.
Di fronte al jolly che vorrebbe fare di tutto abbiamo preferito qualcosa che sa fare solo la sua parte.
Ma la sa fare, che nel nostro mestiere è quello che conta.
Stare in una formazione con un proprio ruolo.
Stare in campo con una propria posizione.
Rispettarne l’identità di gioco, seguire le strategie della tattica, applicare le regole della disciplina.
Invece il marketing sempre di più negli ultimi anni gira e rigira nel campo a rincorrere una palla che tutti gli lanciano, che tratta senza la necessaria dimestichezza, e che poi non sa mettere in rete.
Perché l’unica cosa che il marketing sa mettere in fondo al sacco è sé stesso.
In questo modo il marketing è sceso anche in altri campi che non sono i suoi: la politica che diventa propaganda, il branding circoscritto al personal branding, il web che dà più spazio ai social media e poco tempo ai siti, la narrazione spacciata per storytelling.
È così che il marketing si è dimenticato della marca.
È così che ha perso la sua funzione originale: fare correre la palla.
Di solito si pensa che fare marketing significhi aggiornare il sito dell’azienda, postare nella sua pagina social, cogliere all’istante il boom di una notizia per salire sul carro della viralità.
Cose più da campo della domenica che da campetto di allenamento.
Cose più da casacca con appiccicato lo sponsor e il numero che da tuta con addosso fango e sudore.
Per noi il marketing è più nella costanza dei fondamentali che negli affondi sporadici.
E non è solo nella certezza dei dati raccolti o dei numeri messi in fila, ma nelle parole messe sulla pagina capaci di interpretarli.
Nell’analisi che – frase dopo frase – mette in piedi un ponte tra la sponda del mercato e quella del prodotto.
Nell’uscita dalla stanza dell’ufficio per scendere in campo e sporcarsi con i fatti, più che giocare con le teorie.
Basta poco per trasformare una parola in una non-parola.
Basta darle un sacco di compiti, una lista di ruoli, posizioni che la portano a occupare tutto lo spazio della comunicazione.
L’origine della sua storia ci racconta che la parola marca è il segno di un limite.
Tutto quello che c’è oltre quella linea di confine è marchetta.
Un limite che il marketing di oggi non è capace di darsi.
Per questo, senza il confine di un ruolo dove starci dentro, il marketing si appiattisce in tutto quello che si inventa di fare o si appiccica addosso per averlo fatto.
Sembra che oggi tutte le strade portino al marketing.
Qualunque sia il punto da dove parti e la via che imbocchi, il percorso ti porterà lì, tra le sue braccia.
Ma è un marketing senza marca, proprio perché è senza un confine.
Quello che solo la dimestichezza della materia e l’applicazione di un metodo sa tracciare.
Alla fine, un’azienda nel marketing si perde e in una marca si ritrova.